sabato 23 ottobre 2010

Tar Lombardia 6879/2010 - l'impugnazione degli atti nel processo amministrativo

Con questa pronuncia il Tar Lombardia, pronunciandosi in ordine alla mancata impugnazione dell'aggiudicazione definitiva di una procedura di affidamento del servizio di refezione scolatica, intervenuta nelle more del processo relativo al provvedimento di esclusione dalla procedura stessa, è giunto a dichiarare l'improcedibilità del ricorso. In partricolare, il Tar ribadisce che l'indicazione dell'impugnazione degli "atti comunque presupposti connessi e conseguenti" non ha alcun valore ai fini del giudizio, non consentendo effettivamente di estendere la portata dell'impugnazione, eventualmente realizzabile attraverso la proposizione di motivi aggiunti. Si riporta un estratto della pronuncia:
"Il deposito di un documento nel corso del giudizio comporta per il ricorrente la presunzione della sua conoscenza ai fini dell'impugnativa tramite motivi aggiunti. Ne segue che la mancata impugnazione da parte del ricorrente del provvedimento di aggiudicazione definitiva di una gara di appalto, depositato nel corso del giudizio dall'amministrazione intimata, non può che determinare l'improcedibilità del ricorso stesso (T.A.R. Toscana Firenze, Sez. II, 24 gennaio 2003 n. 55). Nel corso dell’udienza di discussione il ricorrente ha peraltro replicato oralmente alla predetta eccezione preliminare, dichiarando non necessaria l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, avendo esteso l’impugnazione a tutti gli atti della procedura, compresi, espressamente, quelli “connessi e conseguenti”. L’argomento non può essere condiviso. E’ principio pacifico e consolidato in giurisprudenza quello secondo cui la formula di stile, con cui vengono cautelativamente impugnati "gli atti presupposti, connessi e conseguenti", non vale ad estendere l'impugnazione nei riguardi di atti non specificamente indicati nel ricorso, atteso che detta formula è priva di qualsiasi valore processuale, non essendo idonea ad individuare uno specifico oggetto di impugnativa, giacché solo una non indicazione del petitum consente alle controparti la piena esplicazione del diritto di difesa (T.A.R. Piemonte Torino, Sez. II, 14 gennaio 2010 , n. 200, T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 26 luglio 2007 n. 7013, Consiglio Stato Sez. V, 16 settembre 2004 n. 6018, Consiglio Stato Sez. VI 07 luglio 2003 , n. 4037)."

domenica 17 ottobre 2010

Corte di Giustizia Ce, sez. III, 30 settembre 2010, n. C-314/09- non serve la colpa della PA per ottenere il risarcimento dovuto alla violazione della disciplina sugli appalti pubblici (dir. 89/665/CE)

La Corte di Giustizia è intervenuta nuovamente in tema di risarcimento del danno cagionato dalla violazione della normativa comunitaria in tema di evidenza pubblica, da parte delle Pubbliche Amministrazioni nazionali.
Interpretando la dir. 89/665/CE  e ss.mm., in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di forniture e di lavori, la CGE ha ritenuto che gli ordinamenti nazionali non possano subordinare l'ottenimento del risarcimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo di colpa della PA. Ecco il dispositivo:
"La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata."
Il link per leggere l'intera sentenza:
CGE C- 314/09

mercoledì 13 ottobre 2010

Corte Costituzionale sent. n. 293/2010 - Art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 08/06/2001, n. 327

E' stata dichiarata l'illegittimità costitzionale dell'art. 43 D.P.R. 327/2001, discipinante l'istituto della c.d.acquisizione sanante. Pur essendo stata pronunciata l'illegittimità costituzionale in relazione all'art. 76 Cost., ritenendosi l'istituto estraneo ai principi e criteri direttivi della delega, risulta importante quanto incidentalmente evidenziato dalla Corte Costituzionale circa la dubbia compatibilità della disciplina alla luce dei principi tracciati in tema di espropriazioni dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo:
"Il legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega. Questa Corte ha in proposito affermato, infatti, che, per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento del legislatore delegato, «il libero apprezzamento» del medesimo «non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991).
In contrario, non giova dedurre, come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, che il legislatore delegato abbia inteso tenere conto delle censure mosse dalla giurisprudenza di Strasburgo alla pratica delle espropriazioni «indirette».
Indipendentemente sia da ogni considerazione relativa al fatto che ciò non era contemplato nei principi e criteri direttivi di cui al più volte citato art. 7 della legge n. 50 del 1999, sia dal legittimo dubbio quanto alla idoneità della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto dei principi della CEDU, che in questa sede non è possibile sciogliere, quella prefigurata costituisce soltanto una delle molteplici soluzioni possibili. Il legislatore avrebbe potuto conseguire tale obiettivo e disciplinare in modi diversi la materia, ed anche espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei.E neppure è mancato qualche rilievo in questo senso della Corte di Strasburgo, la quale, infatti, sia pure incidentalmente, ha precisato che l’espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all’amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «azioni illegali», e ciò sia allorchè essa costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorchè derivi da una legge – con espresso riferimento all’articolo 43 del t.u. qui censurato –, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo «buona e debita forma» (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia – Terza Sezione – sentenza 12 gennaio 2006 – ricorso n. 14793/02).
Anche considerando la giurisprudenza di Strasburgo, pertanto, non è affatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave vulnus al principio di legalità"
La sentenza può essere letta per intero su:
http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_ultimo_deposito.asp?sez=ultimodep&Comando=LET&NoDec=293&AnnoDec=2010&TrmD=&TrmM=

Consiglio di Stato decisione n. 3849/2010, Pres. Barbagallo Est. Giovagnoli - Nozione di Pubblica Amministrazione

In questa pronuncia il Consiglio di Stato ribadisce che nel nostro ordinamento non esista una nozione unitaria e sempre valida di Pubblica Amministrazione, bensì diverse definzioni, dal contenuto più o meno ampio a seconda della ratio sottesa all'istituto che, di volta in volta, richiama il concetto, ovvero delle esigenze sottese alla normativa di settore. "Si parla, non a caso, di nozione funzionale di P.A., proprio ad indicare che i confini della nozione variano al variare della funzione prevista dalla norma che ad essa fa riferimento".
A conferma di ciò, la nozione di pubblica amministrazione, nell'ordinamento comunitario, è estesa al concetto di organismo di diritto pubblico, ai fini dell'applicabilità della normativa in tema di procedure di evidenza pubblica, mentre risulta meno ampia e differente al fine di applicare le deroghe al principio della libera circolazione dei lavoratori o per individuare i soggetti i cui comportamenti diano luogo alla responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.
In particolare, qualora un bando di concorso, volto all'assunzione di personale, richieda, ai fini della partecipazione, di aver maturato un'esperienza pregressa in Pubblica Amministrazione, il dato che assumerà rlevanza sarà quello di essere stati assunti a seguito di pubblico concorso in un dato ente che, conseguentemente, sarà qualificabile quale Pubblica Amministrazione ai fini del bando. Non è, al contrario, sufficiente la circostanza che l'ente in cui è stata svolta l'esperienza lavorativa svolga funzioni pubbliche, essendo sempre più diffuso il fenomeno di svolgimento di tali funzioni da parte di soggetti ritenuti privati.